martedì 21 agosto 2012

Tempo di sagre

L'estate, è noto, è il periodo nel quale l'Italia pullula di migliaia di iniziative enogastronomiche, anche bizzarre. Ogni campanile ha la sua sagra. Anzi, a volte, più di una. Sarà per la crisi pungente, ma quest’anno la polemica da parte di commercianti, ristoratori ed operatori turistici con il sistema delle sagre è piuttosto feroce. Le accuse più frequenti: concorrenza sleale, mistificazione, bassa qualità,...
Di seguito alcune mie personali considerazioni.

Occorre adoperarsi per favorire, anche agli occhi dei fruitori, una sana distinzione tra sagre e altre manifestazioni il cui vero obiettivo, legittimo ma quasi mai dichiarato (purtroppo), è quello di raccogliere fondi per finanziare le attività annuali e ricorrenti dei promotori. 
Vanno nel contempo scoraggiati quegli eventi (la maggioranza), mascherati da iniziative no profit, il cui vero scopo è invece solo quello di fare profitti attraverso la minimizzazione dei costi e l'evasione delle norme tributarie.
La qualifica di sagra dovrebbe essere attribuita esclusivamente a quelle manifestazioni che:

  • rappresentano un evento inserito in un percorso organico di valorizzazione delle produzioni e preparazioni locali, realmente esistenti, anche se di nicchia. Ciò significa coinvolgere i piccoli produttori, promuovere e valorizzare le micro filiere locali (e non acquistare presso la GDO le materie prime), attraverso una strategia di cooperazione durevole negli anni;
  • rispettano la stagionalità, la storicità e la tradizione di piatti e preparazioni;
  • propongono programmi che vanno al di là della semplice somministrazione e favoriscono invece l’educazione dei consumatori (sia turisti che residenti) e la conoscenza del patrimonio storico, culturale ed ambientale locale;
  • si basano, nei limiti del possibile, su un’ attenta ripartizione dei ruoli che tenga conto delle finalità “istituzionali” e della mission di ciascuna organizzazione coinvolta: il comune e la ASL vigilano sul rispetto delle regole, le pro loco (o associazioni in genere) promuovono e coordinano, gli agricoltori e i produttori locali forniscono le materie prime, gli operatori agrituristici e della ristorazione trasformano, elaborano e propongono, e così via…;
  • considerano gli impatti ambientali delle attività promosse, incentivando così l'utilizzo di materiali biodegradabili, la raccolta differenziata dei rifiuti, le forme di mobilità sostenibile,...;
  • valorizzano il ruolo del volontariato, combattono il lavoro "nero" e lo sfruttamento di produttori e lavoratori;
  • reinvestono gli utili a favore delle comunità locali (recupero e restauro dei luoghi, sostegno ad eventi culturali, incentivi ai produttori,...);
  • ...

Tutto il resto chiamiamolo festa enogastronomica, festa paesana, convivio, evento di beneficenza, ecc. ma non sagra!
Ai singoli territori, molti dei quali ancora in attesa di una legge regionale che disciplini il settore, propongo di autorganizzarsi:
  1. promuovendo una riflessione sulle caratteristiche delle “sagre” attualmente in essere e identificando le principali criticità rispetto ai principi sopra enunciati;
  2. avviando  un percorso di sensibilizzazione di tutti gli attori del sistema;
  3. elaborando un regolamento condiviso e da applicare in modo stringente;
  4. premiando, anche attraverso incentivi,  gli operatori e le associazioni che decidono di intraprendere un percorso di miglioramento qualitativo.
Credo che un tale sistema sia capace a regime di salvaguardare l'identità dei luoghi e produrre grandi vantaggi, in termini di coesione economica e sociale, soprattutto per le aree interne e marginali.

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