Torno sull'argomento del mio post precedente dedicato alla figura di Franco Arminio.
Leggendo ed ascoltando le sue interviste ho provato a tracciare le caratteristiche del perfetto paesologo.
Il paesologo non segue cartelli ed insegne turistiche. Seguire le insegne è il contrario del mestiere del paesologo. Il paesologo non va a vedere i paesi, non segue le insegne, le evita il più possibile, così come evita i percorsi obbligati, le corsie chiuse. Molti luoghi conservano una loro grazia appartata, volerla svelare a tutti i costi un po’ la fa svanire. “Più che la bandiera arancione” del Touring, Arminio vede spesso “ paesi da bandiera bianca”.
Il paesologo pratica il turismo della clemenza, nel senso che va a trovare i paesi non per divertirsi ma per far loro compagnia.
Il paesologo scambia sempre un po’ di parole con gli anziani “gente saggia, lontana dalle velleità di sviluppo che la politica vorrebbe appiccicare a questi luoghi. Tanti piccoli paesi dell’Appennino corrono un grande rischio: ospizi d’inverno, villaggi turistici d’estate”. Il paesologo non è in grado di indicare possibilità diverse se “l’ambito rimane quello del modello capitalista e antropocentrico”. Nelle giornate del paesologo s’intrecciano epica e disincanto, nichilismo e passione civile. C’è una desolazione che rende euforici e un’euforia che rende desolati.
L’arma segreta del paesologo è l’immaginazione. Ad esempio, Arminio ha realizzato il museo dell’aria. “Ha sede sulla rupe, sulla nuca del meteorite che spunta nella valle dell’Ofanto, tra il Formicoso e la sella di Conza. Il museo non ha arredi, non ha custodi. Ci sono tanti musei in giro, spesso sono inutili. Non esisteva un museo dell’aria, un luogo cioè dove le persone possono andare non per vedere qualcosa ma semplicemente per sentire che la nostra vita si svolge nell’aria e che non c’è niente al mondo che sia più importante dell’aria. L’aria è come il mare, non è mai ferma. L’aria non è mai nostra, viene sempre da qualche parte. Certe volte quando d’estate soffia il vento da nord est io sento in un quel filo di freddo il respiro di una coppia che si è baciata poche ore prima a Sarajevo, vedo gli occhi di un’anziana donna affacciata alla finestra a Fiume. L’aria è un dono che contiene tanti altri doni. Dovremmo ricordarcelo ad ogni respiro, ogni volta che ci entra nei polmoni il giro del sangue è più lieto, i pensieri si fanno appena più chiari. Il mondo vive perché è circondato da un filo d’aria, ma noi ce lo scordiamo, perché l’aria non l’abbiamo fatta noi, non è una macchina, un telefono, un cuscino. Il museo dell’aria a Cairano non dispone neppure di un cartello segnaletico o di guide. È un museo virtuale, nasce nella testa di chi sale alla rupe, non ha orari di apertura e di chiusura. Non appartiene allo Stato e neppure ai privati. Appartiene a chi sa stare all’aperto, a chi sa di essere una piccola parte di questo vorticare perenne a cui stanno appese le piccole scene della nostra vita e di quella degli altri. L’aria è una bestia colossale e generosa, dà la vita a noi e alle formiche, ai cani e alle piante. Il museo di Cairano è la nostra forma di devozione a questa bestia invisibile e senza forma. Forse quello che chiamiamo Dio è semplicemente l’aria ed è un Dio a cui ci piace credere, è un Dio che ha tanti fedeli inconsapevoli e tante chiese, una per ogni polmone, per ogni acquasantiera del respiro”.
Il paesologo risiede ad oltranza in un paese.
Il paesologo non è un paesanologo. Non è interessato alla conservazione (del dialetto, delle tradizioni). Il paesologo ha lo sguardo rivolto al futuro dei paesi, anche se non sa ancora qual è il futuro che li attende.
Leggendo ed ascoltando le sue interviste ho provato a tracciare le caratteristiche del perfetto paesologo.
Il paesologo non segue cartelli ed insegne turistiche. Seguire le insegne è il contrario del mestiere del paesologo. Il paesologo non va a vedere i paesi, non segue le insegne, le evita il più possibile, così come evita i percorsi obbligati, le corsie chiuse. Molti luoghi conservano una loro grazia appartata, volerla svelare a tutti i costi un po’ la fa svanire. “Più che la bandiera arancione” del Touring, Arminio vede spesso “ paesi da bandiera bianca”.
Il paesologo pratica il turismo della clemenza, nel senso che va a trovare i paesi non per divertirsi ma per far loro compagnia.
Il paesologo scambia sempre un po’ di parole con gli anziani “gente saggia, lontana dalle velleità di sviluppo che la politica vorrebbe appiccicare a questi luoghi. Tanti piccoli paesi dell’Appennino corrono un grande rischio: ospizi d’inverno, villaggi turistici d’estate”. Il paesologo non è in grado di indicare possibilità diverse se “l’ambito rimane quello del modello capitalista e antropocentrico”. Nelle giornate del paesologo s’intrecciano epica e disincanto, nichilismo e passione civile. C’è una desolazione che rende euforici e un’euforia che rende desolati.
L’arma segreta del paesologo è l’immaginazione. Ad esempio, Arminio ha realizzato il museo dell’aria. “Ha sede sulla rupe, sulla nuca del meteorite che spunta nella valle dell’Ofanto, tra il Formicoso e la sella di Conza. Il museo non ha arredi, non ha custodi. Ci sono tanti musei in giro, spesso sono inutili. Non esisteva un museo dell’aria, un luogo cioè dove le persone possono andare non per vedere qualcosa ma semplicemente per sentire che la nostra vita si svolge nell’aria e che non c’è niente al mondo che sia più importante dell’aria. L’aria è come il mare, non è mai ferma. L’aria non è mai nostra, viene sempre da qualche parte. Certe volte quando d’estate soffia il vento da nord est io sento in un quel filo di freddo il respiro di una coppia che si è baciata poche ore prima a Sarajevo, vedo gli occhi di un’anziana donna affacciata alla finestra a Fiume. L’aria è un dono che contiene tanti altri doni. Dovremmo ricordarcelo ad ogni respiro, ogni volta che ci entra nei polmoni il giro del sangue è più lieto, i pensieri si fanno appena più chiari. Il mondo vive perché è circondato da un filo d’aria, ma noi ce lo scordiamo, perché l’aria non l’abbiamo fatta noi, non è una macchina, un telefono, un cuscino. Il museo dell’aria a Cairano non dispone neppure di un cartello segnaletico o di guide. È un museo virtuale, nasce nella testa di chi sale alla rupe, non ha orari di apertura e di chiusura. Non appartiene allo Stato e neppure ai privati. Appartiene a chi sa stare all’aperto, a chi sa di essere una piccola parte di questo vorticare perenne a cui stanno appese le piccole scene della nostra vita e di quella degli altri. L’aria è una bestia colossale e generosa, dà la vita a noi e alle formiche, ai cani e alle piante. Il museo di Cairano è la nostra forma di devozione a questa bestia invisibile e senza forma. Forse quello che chiamiamo Dio è semplicemente l’aria ed è un Dio a cui ci piace credere, è un Dio che ha tanti fedeli inconsapevoli e tante chiese, una per ogni polmone, per ogni acquasantiera del respiro”.
Il paesologo risiede ad oltranza in un paese.
Il paesologo non è un paesanologo. Non è interessato alla conservazione (del dialetto, delle tradizioni). Il paesologo ha lo sguardo rivolto al futuro dei paesi, anche se non sa ancora qual è il futuro che li attende.
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