Maggio 2011. Tempo di elezioni. Distribuzione di santini. Benedizioni dei big della politica. Si sgranano rosarii di buone intenzioni. Campagne elettorali giocate a colpi di palestre, PRG, PMU, TARSU, lampioni pubblici, strade, sportelli vari,...Tutto importante, ma non sufficiente. Mi rammarica non vedere, nei candidati e nei cittadini, la consapevolezza che benefici di ampia portata, per i cittadini e per le imprese, si possano ottenere soltanto con il concorso di molteplici soggetti che nel territorio si muovono o che sono in significativa interazione con esso. Ripropongo sotto, in primis a me stesso, i punti salienti di un progetto formativo realizzato dal FORMEZ e da 15 Università italiane (tra le quali Teramo e Chieti/Pescara) sulla "Public Governance". Ci si è lavorato duramente, molte amministrazioni hanno partecipato (con amministratori e dipendenti), mi chiedo: perché si continua ad ignorare la prospettiva del governo con il territorio?
L’effetto positivo di un’azione di governo non può che essere frutto collettivo, partecipato e integrato. E' questo il governo con il territorio. Per questo si sta assistendo al progressivo spostamento del cuore dell’attività di amministratori e tecnici, dal “realizzare” direttamente i risultati programmati o auspicati all’“ottenere” il loro conseguimento attraverso il concorso di una molteplicità di soggetti istituzionali e sociali, pubblici e privati. Secondo questa ottica un Comune dovrebbe operare per:- dare risposte puntuali ai bisogni ed ai problemi di loro competenza;
- mettere in connessione i potenziali portatori di risposte perché possano dare soluzione ai bisogni, quando questi richiedono il concorso di attori e risorse variegate.
Nella nuova visione costituzionale anche i soggetti privati, se operano per l’interesse generale, sono infatti “attori del bene comune” e quindi hanno la stessa dignità e valenza delle istituzioni tipicamente pubbliche. Si allarga in questo modo il concetto di pubblica amministrazione, non più delimitato dalla giurisdizione su base normativa, ma aperto a considerare la valenza collettiva dei risultati e degli effetti conseguiti nell’interesse generale, chiunque sia l’attore protagonista o partecipe (Art. 118).
La definizione di obiettivo di governo territoriale enfatizza il perseguimento di:
- risultati di rilevante impatto per il territorio in grado di generare benefici per i cittadini e per le imprese (qualità di vita e competitività dei sistemi locali);
- con forte carattere di trasversalità delle politiche implicate (azioni di sistema);
- che possono essere conseguiti soltanto attraverso il contributo di attori diversificati: istituzionali e sociali, pubblici e privati (partenariato diffuso e modello sussidiario).
Specifico di un ente che fa buona amministrazione è il forte orientamento al cliente/utente dei propri servizi, di qualsiasi natura essi siano. Un cittadino soddisfatto di un servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani o della facilità di ottenimento di un certificato all’anagrafe o di un’autorizzazione edilizia è sintomo inequivocabile di una gestione efficace dei processi produttivi ed erogativi di tali servizi. Ma nessuno di questi processi di servizio può garantire né influire direttamente sulla possibilità di sviluppo di quel territorio, sulla crescita del capitale relazionale e sociale, sull’insediamento di imprese di eccellenza o di agenzie strategiche. È solo centrando la propria azione sulla comunità territoriale, alla cui cura è delegata dai cittadini, che l’amministrazione comunale può interpretarne i bisogni, le dinamiche, le opportunità di crescita, le interconnessioni e interdipendenze con altri territori, formulando politiche integrate per la generazione di benefici per i cittadini, i professionisti e le imprese. E' proprio perché ciò non accade che continua il declino e il degrado di molti territori!
Specifico di un ente che fa buona amministrazione è il forte orientamento al cliente/utente dei propri servizi, di qualsiasi natura essi siano. Un cittadino soddisfatto di un servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani o della facilità di ottenimento di un certificato all’anagrafe o di un’autorizzazione edilizia è sintomo inequivocabile di una gestione efficace dei processi produttivi ed erogativi di tali servizi. Ma nessuno di questi processi di servizio può garantire né influire direttamente sulla possibilità di sviluppo di quel territorio, sulla crescita del capitale relazionale e sociale, sull’insediamento di imprese di eccellenza o di agenzie strategiche. È solo centrando la propria azione sulla comunità territoriale, alla cui cura è delegata dai cittadini, che l’amministrazione comunale può interpretarne i bisogni, le dinamiche, le opportunità di crescita, le interconnessioni e interdipendenze con altri territori, formulando politiche integrate per la generazione di benefici per i cittadini, i professionisti e le imprese. E' proprio perché ciò non accade che continua il declino e il degrado di molti territori!
Un Comune deve, ovviamente, fornire buoni servizi, in grado di soddisfare le aspettative dei loro acquirenti e/o fruitori (una mensa di qualità per gli alunni delle scuole primarie o un iter autorizzativo rapido per le imprese), ma la cura della propria comunità implica un altrettanto forte orientamento a mobilitare le risorse del proprio territorio, stimolando la partecipazione diretta di cittadini singoli e aggregati e sviluppando forme di sussidiarietà orizzontale. Se un comitato di genitori di una scuola elementare si attivasse per consentire ai propri figli di potersi recare a piedi alle lezioni, collocando per esempio nonni volontari in punti strategici dei tragitti principali che convergono a raggiera sull’istituto e il Sindaco o le strutture comunali non appoggiassero per qualche ragione o, ancor peggio, osteggiassero tale tipo di iniziativa, contravverrebbero infatti ai dettati costituzionali dell’art. 118. Quando dei cittadini operano in vista dell’interesse generale – e non v’è dubbio che preservare bambini e ragazzi dai pericoli del traffico, della microcriminalità, o dalle possibili insidie di pedofili sia una finalità collettivamente condivisibile e apprezzabile – il compito del Comune è di agevolarne l’azione; anzi, essi stessi, in quel momento, sono parte del Comune, in quanto svolgono una funzione di pubblica amministrazione. Volete buoni esempi di sussidiarietà orizzontale? Qui un ampio campionario.
L’attivazione delle risorse e delle competenze locali non è un optional, una concessione che l’amministrazione locale può attribuire a gruppi di cittadini, in quanto la Costituzione da un lato e i bisogni dei cittadini dall’altro esigono che attività svolte nell’interesse generale siano favorite: non è richiesta tolleranza o passività, ma azioni positive. Si potrebbe affermare, a questo proposito, che il Comune è la comunità amministrata e le sue forme istituzionali e organizzative costituiscono uno strumento delegato a garantirne l’interesse generale.
Certo, in una logica gestionale il focus dell’azione comunale è posto nel far bene la propria parte, nel pianificare e realizzare direttamente i risultati attesi (un nuovo sistema di rotonde europee per fluidificare il traffico urbano, un nuovo regolamento per la gestione del verde pubblico, la realizzazione di un nuovo asilo nido), mentre in chiave di governo locale emerge la necessità di “far fare bene” ad altri soggetti (associazioni culturali, cooperative sociali, agenzie private, ecc.), portatori di competenze e di risorse preziose per la comunità amministrata.
Nel primo caso l’attenzione prevalente è per i processi interni all’ente, per lo sviluppo delle competenze necessarie, per la definizione di ruoli e compiti; nel secondo caso il focus si sposta sulla rete territoriale e sull’organizzazione del sistema degli attori coinvolti. Organizzare se stessi non è sufficiente per generare i benefici e gli effetti attesi dai cittadini, occorre organizzare e regolare – attraverso una filiera amministrativa “lunga” e forme di organizzazione “estesa” - la società locale. Il ricorso a forme e strumenti di governance appare indubbiamente più efficace a questo scopo, rispetto alle modalità regolamentative, di stampo impositivo, che tendono a collocare chi amministra e il proprio apparato tecnico in posizione preminente rispetto agli amministrati. Talvolta questo atteggiamento viene motivato, da parte di alcuni Sindaci, sulla base della delega avuta dai cittadini attraverso l’elezione diretta, che li metterebbe in condizione di decidere e operare autocraticamente. Questa concezione tende a dimenticare che un Sindaco svolge il suo ruolo di servizio pubblico in funzione dei cittadini e non viceversa e che tale funzione non si esaurisce nell’urna elettorale, ma richiede un dialogo continuo.
Anche il formidabile apporto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC) assume un orientamento diverso. Non è più sufficiente - per quanto indispensabile e ancora in molta parte da realizzare - predisporre dispositivi di e-government, che consentano di effettuare transazioni di servizio in modalità remota, per lo più via web, tra Enti locali e cittadini. L’inclusione dei cittadini nei processi di governo comunale richiede anche strumenti di e-democracy, che facilitino la partecipazione dei soggetti locali alla definizione di programmi e al conseguimento degli effetti attesi. Si pensi, a titolo esemplificativo, ad un processo di identificazione (su base volontaria) dei fruitori dei servizi e delle attività culturali di un Comune e alla costituzione di una comunità virtuale che possa dialogare tramite internet per definire i programmi di una stagione teatrale o dei percorsi culturali e che possa in tempo reale valutare le iniziative svolte. Queste forme di democrazia su base elettronica, tecnicamente molto facili da impostare, richiedono da parte degli enti una propensione a considerare i cittadini parte del processo di governo locale e non soltanto terminali passivi (eventualmente con possibilità di espressione alla successiva scadenza elettorale) dell’azione amministrativa.
In questa logica il Comune se vuole governare, deve appuntare la propria attenzione non tanto sul proprio interno, quanto sul sistema di relazioni con i cittadini e con gli attori locali e, comunque, con tutti i soggetti che possono influire sullo sviluppo e sul benessere della comunità amministrata. In questo caso si dovrebbe più correttamente parlare di comunità che amministra se stessa, piuttosto che di comunità amministrata. Ne consegue che la capacità di esercitare una leadership locale amplia significativamente il compito di orientare il personale interno verso il conseguimento degli obiettivi attesi. Fare la regia di processi complessi con una molteplicità di attori implicati richiede una capacità di leadership “esterna”, capace cioè di estendere la propria efficacia anche a soggetti che non dipendono gerarchicamente dall’ente e che possono, in alcuni casi, avere molto più potere di esso. Per raggiungere l’effetto di migliorare le opportunità di occupabilità sul territorio locale, un Comune deve essere in grado di coinvolgere e orientare anche i comportamenti della Provincia (responsabile, per esempio, della traduzione territoriale delle politiche attive del lavoro) e della Regione (responsabile della legislazione ad esse relativa e delle politiche di crescita del capitale umano) e attrarre risorse comunitarie sulla base della propria capacità progettuale. Sono la definizione di idee-forza e di progetti e la mobilitazione del sistema locale che danno vigore alla leadership municipale e provinciale.
Per far questo le competenze di tipo tecnico-specialistico e gestionale, necessarie per impostare ed erogare dei buoni servizi, vanno integrate con competenze nuove, che si impernino attorno all’attrazione, abilitazione e attivazione dei molteplici apportatori di valore pubblico. Processi di apprendimento finalizzati a fornire le capacità di svolgere bene il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione comunale vanno pertanto affiancati da strumenti formativi che aiutino a presidiare non soltanto il proprio lavoro, ma gli effetti che esso genera per la comunità amministrata. Gestire un servizio e governare la generazione di valore pubblico costituiscono due versanti che possono essere integrati soltanto a partire dalla consapevolezza della funzione di governo locale. Spesso questa consapevolezza si può acquisire solo se il personale pubblico aumenta la conoscenza del proprio territorio, uscendo anche fisicamente dai propri uffici per verificare sul campo le problematiche e i progetti su cui sta lavorando, condividere con i beneficiari la consapevolezza dei bisogni e delle aspettative da soddisfare, verificare, con i soggetti partenariali, la validità dei percorsi progettuali che si stanno realizzando, innervare la propria azione nel cuore della comunità territoriale.
La possibilità che questa transizione, regolata dalle modifiche legislative e sollecitata dai bisogni delle comunità amministrate, venga attuata efficacemente, risiede in buona misura nello sviluppo delle competenze di manager e operatori pubblici.
L’analisi del contesto amministrativo territoriale e locale evidenzia difficoltà a impostare l’azione pubblica sulla base delle funzioni di governo e regolazione territoriale, a causa del prevalente orientamento del personale ad agire sulla scorta di schemi di enti focalizzati sugli aspetti gestionali. E questo non soltanto per la prevalenza di attività di gestione diretta, ma anche per la carenza di competenze e profili centrati sulle funzioni di governo e di regolazione territoriale.
È così possibile che, anche a fronte di una “politica alta” degli amministratori, centrata cioè sui benefici da generare per le comunità amministrate, la struttura tecnica non sia in grado di supportare compiutamente l’azione di governo territoriale. Come, viceversa, può anche capitare che la visione “corta” degli amministratori “costringa” funzionari ed operatori a impostare obiettivi e pratiche di natura esclusivamente gestionale, anche nel caso in cui le competenze di governo fossero, tra di essi, diffuse.
Il ruolo di “governo” può più facilmente liberare le energie civili dei pubblici funzionari che intendono esercitare appieno la responsabilità sociale di costruire e ricostruire la polis, incrementando la capacità della PA di essere non un vincolo necessario, ma un opportuno strumento di promozione dello sviluppo, di presa in carico della complessità territoriale, di cura dei bisogni e degli interessi a vantaggio della collettività, di interpretazione del bene comune e di diffusione di senso. Operando in questa direzione le amministrazioni pubbliche territoriali e locali possono assumere il ruolo di “mano visibile” (e necessariamente trasparente) e motore di trasformazione dei contesti territoriali, attraverso il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi di pubblica utilità, la regolazione dell’uso dei beni collettivi (come il suolo, l’acqua, l’aria), la preparazione professionale e civile delle giovani generazioni, la riduzione dei costi di transazione per le imprese e così via; in altre parole, attraverso la propria capacità di governo con il territorio.
Il passaggio dalla “gestione” al “governo” potrebbe essere ascritto a due trasformazioni fondamentali che improntano tutti gli altri cambiamenti necessari:
- l’attenzione preminente agli effetti della propria azione, piuttosto che ai mezzi impiegati o ai risultati specifici da conseguire;
- la compartecipazione, per ottenere tali effetti, di una molteplicità di attori di diversa natura e la cura delle interdipendenze tra di essi.
“Governare” comporta l’attivazione di azioni diverse dal mero adempimento di atti o dal semplice raggiungimento di risultati puntuali, azioni che non possono essere, di conseguenza, valutate col paradigma binario del fatto/non fatto.
Si sviluppa invece un’azione di governo e regolazione territoriale quando l’ente, per realizzare i propri obiettivi e generare i benefici attesi per la comunità amministrata, ha bisogno dell’attivazione e dell’apporto di altri soggetti istituzionali e sociali, pubblici e privati, e deve ricorrere, quindi, a risorse e competenze che non gli appartengono.
Il passaggio da ente di gestione e di spesa a ente di governo e di regolazione implica un cambiamento dell’oggetto e del metodo delle politiche pubbliche. Centrale non è più uno specifico oggetto (risultato, progetto, intervento: come, per esempio, il restauro di un bene architettonico), ma le interconnessioni tra questo oggetto particolare e il sistema territoriale in cui è inserito (gli asset sociali, economici e culturali), nell’ipotesi che, agendo sulle interconnessioni, si possa dare contemporaneamente più valore all’oggetto (per esempio, una maggior fruibilità del bene) e alle variabili con esso interagenti (per esempio, un incremento dell’afflusso turistico e uno sviluppo di attività commerciali e artigianali).
Analogamente, si modifica il metodo dell’azione pubblica, in quanto l’attenzione non può essere posta soltanto sui soggetti che devono realizzare il risultato previsto (per esempio, proprietari del bene, ente locale, finanziatori, enti di regolazione e controllo artistico, professionisti, ecc.), ma anche e soprattutto sull’insieme dei soggetti e sulle reti di relazioni che possono favorire l’incremento di valore pubblico del territorio considerato (gli attori sociali, economici, culturali, produttivi, in grado di contribuire alla generazione degli effetti che si vogliono ottenere con l’azione di governo).
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